Esiste un limite alla riproduzione virtuale della realtà nei videogame?

22 aprile 2021 / Di Samuele Fraternali / 0 Comments

Il mercato dei videogiochi è in forte crescita a livello mondiale – secondo le stime di IDC le global revenue del gaming hanno sfiorato i 180 miliardi di dollari nel 2020 (+20%) – spinto dalla digitalizzazione e dal continuo sviluppo tecnologico.

Un progresso che, grazie al miglioramento delle tecnologie di Computer-Generated Imagery (CGI) e di manipolazione video, supportate a loro volta dal machine learning e dall’intelligenza artificiale, ha instaurato la tendenza di far diventare il gioco sempre più un’imitazione virtuale della realtà, capace di riprodurre in maniera ultra-realistica scenari e persone reali.

 

Videogame, realtà e diritto di immagine

Parliamo di una tendenza che piace al consumatore di videogame, in quanto gli permette di immedesimarsi o relazionarsi con i propri idoli. La domanda c’è e il mercato risponde. Ma la realizzazione di videogiochi con personaggi e ambienti sempre più vicini alla realtà alimenta un dibattito: quanto gli sviluppatori possono attingere e replicare la realtà senza infrangere il diritto di immagine?

Negli USA sono stati diversi i casi – arrivati in tribunale – in cui personaggi rilevanti hanno fatto causa ai publisher per l’uso non autorizzato della propria immagine e/o della propria storia. Tra tutti il caso più recente è quello di Lenwood Hamilton, ex prodigio del football americano che ha dovuto interrompere precocemente la carriera per ingiusti motivi giudiziari, ma riuscendo poi a ritagliarsi un ruolo di successo nel wrestling e nel sociale, grazie alla lotta all’abuso di droga tra i giovani. La storia e il personaggio - seppur rivisitati - vengono ripresi in un videogioco, intitolato Gears of War, nonostante Hamilton rifiuti ogni forma di collaborazione. In questo caso le corti federali hanno sempre dato ragione allo sviluppatore.

 

Libertà di espressione o right of publicity?

Insomma, da un lato gli sviluppatori di videogame hanno bisogno, per attrarre la fanbase, di inserire personaggi fortemente attrattivi con cui il giocatore possa interagire e, per poterlo fare efficacemente, riproducono personaggi reali. Ritengono che la loro azione sia giustificata dal principio della libertà di espressione. Dall’altro lato star e personaggi celebri si appellano al right of publicity, il diritto connaturato all’interno di ogni essere umano volto al controllo dell’uso commerciale della propria immagine.

Come si può trovare un equilibrio tra i due diritti? Le corti hanno adottato vari test, tra cui il predominant use test, l’ad-hoc balancing test, il Rogers test (basato sul concetto di trademark) e il più noto e utilizzato transformative use test (basato sul concetto di copyright). Quest’ultimo, soprattutto nelle interpretazioni più recenti, sta spostando il bilanciamento dei diritti a favore degli sviluppatori di videogiochi, in quanto afferma che se la riproduzione è sufficientemente trasformativa, allora la libertà di espressione degli sviluppatori prevale sul right of publicity. Infatti, secondo le più recenti sentenze, come nel caso di Hamilton, anche in presenza di un alto livello di imitazione a livello fisico e vocale, una modifica nel background del personaggio potrebbe renderlo “sufficientemente trasformato”.

Le nuove tecnologie di animazione offrono possibilità che forse fino a dieci anni fa nessuno avrebbe potuto immaginare, ma il corpus normativo fa spesso riferimento a leggi emanate quando il concetto di digitale non esisteva nemmeno. Tuttavia, ora è impossibile pensare di frenare la propensione degli sviluppatori di videogame a riprodurre la realtà, una tendenza che tramite la realtà virtuale non potrà che affermarsi con sempre maggiore intensità. Allo stesso tempo è però necessario trovare un punto di incontro tra il diritto alla libera espressione e il right of publicity, sia mediante una riforma legislativa che nei vari paesi permetta di definire meglio i diritti e i doveri che scaturiscono dalla creazione, dalla distribuzione e dall’uso di contenuti digitali, sia tramite lo sviluppo di una netiquette tra sviluppatori che tenga conto dei diritti propri dell’individuo.


Samuele Fraternali e Niccolò Ulderico Re - Osservatorio Digital Content

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  • Autore

Direttore dell’Osservatorio Digital Content e Senior Advisor dell'Osservatorio eCommerce B2c Netcomm