Il fenomeno del Quiet Quitting è oggi uno dei temi più dibattuti nel mondo del lavoro e della gestione delle Risorse umane. Nato come risposta al crescente malessere psico-fisico post-pandemia, il Quiet Quitting si manifesta con un atteggiamento di disimpegno silenzioso da parte dei lavoratori, che scelgono di fare esclusivamente il minimo indispensabile richiesto dalle loro mansioni. Ma cosa si cela dietro questa scelta e quali sono le conseguenze per aziende e lavoratori?
Attraverso la Ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice del POLIMI School of Management, proveremo a comprendere cos’è e come si evolve questo fenomeno a livello nazionale.
Cosa Significa Quiet Quitting?
Con Quiet Quitting non si intende un vero e proprio abbandono del lavoro, ma piuttosto un ridimensionamento delle energie dedicate alle attività professionali. I lavoratori coinvolti non superano le aspettative minime, evitando di investire tempo ed emozioni oltre allo stretto necessario.
Questo comportamento, in molti casi, rappresenta una reazione al sovraccarico lavorativo, alla mancanza di gratificazioni e a uno scarso bilanciamento tra vita privata e professionale.
Un dato interessante sul Quiet Quitting perviene dalla Ricerca dell’Osservatorio. Ciò che emerge è, infatti, la sua stabilità: anche nel 2024, il 12% dei lavoratori si identifica come Quiet Quitter.
Questo evidenzia come il fenomeno non sia un trend passeggero, ma una realtà consolidata che le aziende devono affrontare con urgenza per prevenire impatti negativi sulla produttività e sul clima organizzativo.
Come riconoscere un Quiet Quitter
Ciò che fa di un lavoratore un Quiet Quitter, come osservato dall’Osservatorio HR Innovation Practice, sono alcuni aspetti caratteristici, come la perdita di fiducia nella propria azienda e un livello di engagement molto basso.
Alcuni campanelli di allarme per l’azienda possono essere: l’insoddisfazione della condizione lavorativa nel suo complesso, la mancanza di sviluppo di relazione del soggetto all’interno dell’azienda stessa, le lamentele su una mancanza di leadership positiva e feedback e, infine, uno scarso benessere psicologico.
Perché il Quiet Quitting è un campanello d’allarme per le aziende
Il Quiet Quitting è un chiaro segnale di disengagement (scarso coinvolgimento e poca motivazione). Quando i dipendenti iniziano a ridurre la loro produttività e a svolgere solo le attività essenziali, le aziende ne risentono sotto diversi aspetti:
- Diminuzione della produttività: un lavoratore disimpegnato porta inevitabilmente a risultati inferiori rispetto al proprio potenziale.
- Problemi di retention: il fenomeno si inserisce in un contesto già segnato dalla Great Resignation, con il 42% dei lavoratori italiani che dichiara di voler lasciare il proprio posto di lavoro.
- Riduzione dell’innovazione: il coinvolgimento dei dipendenti è fondamentale per stimolare idee e soluzioni innovative. Il Quiet Quitting, invece, blocca questa dinamica.
Il Ruolo del Lavoro Ibrido e della Tecnologia
Un altro elemento che contribuisce al Quiet Quitting è la difficoltà nel trovare un giusto equilibrio tra vita lavorativa e vita privata. La diffusione del lavoro da remoto, spesso non accompagnata da un adeguato supporto, ha spinto molti lavoratori a sentirsi costantemente raggiungibili, aumentando la sensazione di “non staccare mai.” Questa invasione della sfera privata porta molti a stabilire confini più rigidi, a volte riducendo il proprio impegno professionale al minimo indispensabile.
Come Contrastare il Quiet Quitting: Strategie per le Aziende
Affrontare il Quiet Quitting richiede un cambio di paradigma nel modo in cui le organizzazioni gestiscono il benessere dei propri dipendenti. Ecco alcune strategie efficaci:
- Promuovere il benessere psicologico: programmi di supporto, come il “Bonus Psicologo” o iniziative aziendali dedicate alla salute mentale, possono migliorare il benessere e il coinvolgimento dei lavoratori.
- Bilanciare vita lavorativa e vita privata: politiche chiare per garantire il riposo e il rispetto del tempo libero dei dipendenti.
- Favorire la comunicazione interna: un ambiente in cui si può parlare apertamente di difficoltà e malessere contribuisce a creare fiducia e senso di appartenenza.
- Ripensare i carichi di lavoro: rivedere i processi per distribuire equamente le responsabilità aiuta a prevenire il burnout e a ridurre lo stress.
Cosa sta succedendo nel mondo del lavoro post-pandemico?
Negli ultimi anni, le aspettative dei lavoratori sono profondamente mutate. Da una parte, è emersa la volontà di dare un nuovo significato al lavoro, sentendo di poter incidere e fare la differenza all’interno del proprio contesto lavorativo. Dall’altra, però, è aumentato il malessere psico-fisico, conseguenza delle restrizioni sociali vissute e dell’ansia verso il futuro. Secondo l’OMS, i disturbi di ansia e depressione sono cresciuti fino a colpire il 25% della popolazione.
In Italia, ad esempio, è stato approvato il “Bonus Psicologo,” segnale che il benessere mentale sta assumendo un ruolo prioritario anche nei piani strategici governativi. Tuttavia, solo una minoranza delle aziende lo ha riconosciuto come una priorità. Una ricerca mostra che solo il 9% dei lavoratori “sta bene” sotto i tre aspetti del benessere: fisico, psicologico e sociale.
Questo disagio è ciò che, quindi, ha dato origine a due tendenze preoccupanti: la Great Resignation e il Quiet Quitting, appunto.
Quiet Quitting: Un’Opportunità per Rinnovare il Lavoro
Il Quiet Quitting non è solo un problema, ma anche un’opportunità per ripensare le priorità aziendali. Questo fenomeno solleva una domanda fondamentale: come creare un ambiente di lavoro che metta al centro le persone, rispettando i loro bisogni e valorizzando il loro contributo?
Solo investendo nel benessere e nella soddisfazione dei propri dipendenti, le aziende possono affrontare questa sfida e trasformarla in un’occasione di crescita. In un mercato del lavoro sempre più competitivo, chi saprà ascoltare e rispondere alle esigenze dei lavoratori avrà una marcia in più per attrarre e trattenere talenti.
- Autore
Ricercatrice Junior dell'Osservatorio HR Innovation
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