Uno dei trend che il Covid ha dettato per le estati 2020 e 2021 è stato definito Workation, un mix di lavoro (work) e vacanza (vacation) perché fatto da luoghi di villeggiatura, o holiday working, con un riferimento più esplicito allo smart working, filosofia manageriale ampiamente studiata dalla nostra Scuola, che ha contribuito a comprenderla e diffonderla.
Ne parlavamo già a maggio in un articolo apparso sul Corriere della Sera a firma di Giuliano Noci in cui sostenevamo come fosse da ripensare il concetto stesso di turismo, convenzionalmente considerato come estraniazione dalla vita quotidiana, a favore di una logica in cui turismo e lavoro possano convivere. Sono poi arrivati dati a conferma di questa intuizione.
Workation: i numeri del fenomeno
A inizio giugno 2020, Airbnb segnalava come stesse emergendo dalle ricerche effettuate sulla piattaforma che molte famiglie cercavano di sfruttare la possibilità di lavorare da remoto per trascorrere l’estate in una casa che combinasse le esigenze lavorative degli adulti con quelle di svago dei più piccoli.
Inoltre, una ricerca di JFC mostrava come, dei circa 1milione 800mila smart worker, ben il 23,6% avesse dichiarato di aver scelto di lavorare da remoto scegliendo di soggiornare in una località turistica, per un totale di circa 424.800 holiday worker, nella quasi totalità dei casi con famiglia al seguito, e una media di 42 giorni. La stima del valore generato per l’estate 2020 era pari a 1 miliardo e 249 milioni di euro.
Anche Italianway, società di gestione di affitti brevi, confermava la tendenza, avendo registrato un boom di richieste da parte di famiglie e gruppi di amici in cerca di case, sia al mare che in montagna, che consentissero di lavorare in serenità ma anche – per gli altri componenti della famiglia - di godersi il relax, per poi ritrovarsi la sera e organizzare attività ricreative per il weekend. Sulle 70mila notti vendute da inizio anno, il 20% è all’insegna della workation con un budget medio di 120-150 euro a notte.
Condizione sine qua non è la presenza di banda larga illimitata e perfettamente funzionante, insieme a sicurezza e qualità dei servizi.
Pro e contro del lavoro dai luoghi di villeggiatura
Andando a guardare bene, il concetto di workation definisce un paradigma già totalmente contenuto nello smart working. Allora perché dedicargli un’attenzione particolare?
Principalmente per due motivazioni.
Il primo è che in workation acquisiscono ancor più rilevanza alcuni dei fattori alla base dello smart working - il bilanciamento lavoro e sfera personale e il lavoro per obiettivi - che quindi esigono ancor più attenzione da parte di chi lo pratica e lo propone.
Accostare le parole “lavoro” e “vacanza”, infatti, si presta a un duplice versante di critiche. Da un lato, può divenire più difficile il corretto bilanciamento tra sfera di vita personale e lavorativa e aumenta il pericolo di non staccare mai, nemmeno quando si è in ferie. Dall’altro, la workation si presta ancor più dello smart working a polemiche circa i comportamenti opportunistici di chi, non essendo ‘costretto’ sul luogo di lavoro, potrebbe fingere di lavorare ma fa altro.
Il secondo fattore è di tutt’altro tenore e riguarda gli impatti economici dell’holiday working. Per gli operatori del turismo ha aperto, infatti, un mercato finora poco esplorato ma decisamente promettente (e tutti sappiamo quanto ce ne sia bisogno, soprattutto durante una pandemia).
Per non parlare delle esternalità positive per quei territori tradizionalmente non considerati importanti mete turistiche, con ricadute anche in termini di maggiore sostenibilità economica, sociale e ambientale derivante da una minore concentrazione dei flussi turistici.
Smart Working e Turismo in Italia: binomio vincente?
È interessante notare che, sempre secondo la ricerca Jfc, nel 92,3% dei casi i lavoratori agili in vacanza scelgono appartamenti e case in affitto o seconde case di proprietà o messe a loro disposizione da amici o familiari in località amene, ma spesso diverse dai grandi centri turistici. N
e è un esempio l’Oltrepò pavese: Il turismo su queste colline stentava da anni, con ristoranti e alberghi sempre più vuoti. E invece, per reazione a quanto è successo nel post-lockdown, ha avuto un fortissimo impulso, e gli attori locali si stanno attrezzando per sfruttare questo rinnovato interesse potenziando i servizi, dai tour in bicicletta agli spazi di coworking.
Proviamo a pensare se una destinazione Italiana fosse in grado di convincere solo lo 0,03% della popolazione dei paesi freddi dell’EU (Germania, Olanda, Svezia, Danimarca, Finlandia, Polonia) a lavorare da remoto un mese in Italia, potrebbe raccogliere 1.400.000 notti in più con il relativo indotto. Numeri che cambierebbero le sorti di molte destinazioni, anche destagionalizzandole (maggio, nella maggior parte delle destinazioni Italiane offre un clima ampiamente migliore dei mesi migliori di quei paesi).
Lo step successivo per la rivitalizzazione di queste aree è divenire attrattive anche per nuovi residenti capaci di portare valore al territorio in modo continuativo. Con la ricchezza culturale e ambientale che hanno, tante regioni italiane potrebbero diventare il paradiso degli smart worker delle big tech americane o cinesi.
Alla luce di queste osservazioni, quindi, senza abbracciare in toto la dicitura workation o holiday working, che si presta a critiche e strumentalizzazioni, ci diciamo convinti sostenitori dello smart working come nuova opportunità per lo sviluppo del Turismo. Con un serio piano di attrazione (non solo di turisti ma anche di residenti) tante destinazioni italiane potrebbero riscoprire una nuova giovinezza, risollevandosi dallo stato di spopolamento e abbandono a cui sembravano destinate. Ma servono servizi (connessione, istruzione e sanità in primis) e un serio piano di attrazione.
Eleonora Lorenzini e Filippo Renga - Direttori dell'Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo
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Direttore degli Osservatori Innovazione Digitale nel Turismo e Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali
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