Tempi di pagamento: è giunta l’ora della trasparenza?

30 maggio 2019 / Di Agostino Bonzani / 0 Comments

Il 2018 ha rappresentato per l’economia italiana un anno complicato, con ripercussioni che sono state tangibili anche sulle abitudini di pagamento delle imprese.

Secondo le ultime rilevazioni di Euler Hermes, nel 2018 i tempi medi di pagamento delle imprese italiane si assestavano a 86 giorni, in crescita rispetto agli 81 del 2017. Un dato elevato e oltretutto in aumento nel corso del tempo. Ancora più preoccupante è, però, la componente del ritardo del pagamento rispetto a quanto contrattualizzato, che secondo Cribis, nel primo trimestre 2019 riguardava il 65% dei pagamenti.

 

Tempi di pagamento: una questione normativa

La consapevolezza crescente della rilevanza di questo tema ha portato ad inserire, all’interno del Decreto Legge del 30 aprile 2019, una serie di provvedimenti dedicati nello specifico al tema dei tempi di pagamento.

Tra gli articoli, spicca in particolare l’Art.22, denominato “Tempi di pagamento tra le imprese”, che impone alle società che redigono un bilancio sociale una maggiore trasparenza sulle tempistiche di pagamento, con una particolare attenzione alla rilevazione tra tempi pattuiti contrattualmente e i tempi effettivi riscontrati, oltre che le eventuali azioni poste in essere nella gestione dei termini di pagamento, tra cui potrebbe figurare anche l’utilizzo di soluzioni di Supply Chain Finance utilizzate a supporto della base di fornitura.

Si tratta sicuramente di un’iniziativa molto promettente, anche se affinché il provvedimento possa effettivamente essere efficace, occorre considerare 3 possibili criticità strutturali con cui il decreto dovrà scontrarsi.

 

Le barriere all'applicazione del provvedimento sui tempi di pagamento tra le imprese

1) Rilevanza dei dati forniti

Una prima criticità riguarda la rilevanza dei dati forniti. Il fatto che il bilancio sociale abbia una cadenza annuale, o come più spesso accade biennale, rischia di fare sì che il valore medio sia poco rappresentativo delle politiche di pagamento in essere in un’impresa, perché non effettivamente capace di rispecchiare il trend di pagamento utilizzato durante l’anno. Inoltre, il dato aggregato non permette di differenziare le politiche di pagamento in essere verso le PMI, che sono maggiormente esposte a dilazioni significative, rispetto a quelle con le grandi imprese.

2) Verificabilità dei dati forniti

Una seconda criticità riguarda la verificabilità dei dati forniti. L’Art. 22, così come è stato strutturato, prevede che i dati sulle abitudini di pagamento siano inserite all’interno del bilancio sociale direttamente dall’impresa stessa, con delle potenziali implicazioni per le società di revisione che si occuperanno del processo di verifica di questa particolare informazione, tra cui:

  • il fatto che non tutte le transazioni sono regolate da contratti di fornitura continuativa, dunque non è possibile tracciare l’effettiva rilevanza del ritardo rispetto a quanto pattuito in fase di negoziazione;
  • la potenziale reticenza da parte delle imprese a condividere con i revisori contabili i dettagli specifici dei contratti di Supply Chain Finance in essere.

3) Bilancio sociale

La terza criticità riguarda la percentuale ancora limitata di imprese che effettivamente redigono un bilancio sociale. Al momento non esistono dei criteri ben definiti che impongano alle imprese l’obbligo di pubblicazione di un bilancio sociale, ma è piuttosto un aspetto discrezionale. Il rischio è dunque che il provvedimento vada a riguardare soltanto quelle imprese che già davano traccia, seppur in maniera meno dettagliata, delle azioni in essere per supportare i propri fornitori, ma che non tocchi tutta una serie di soggetti che preferiscono mantenere la più totale confidenzialità riguardo le abitudini di pagamento e soprattutto delle soluzioni di Supply Chain Finance in atto.


Per concludere, riteniamo che per essere efficace la misura debba andare di pari passo con altre iniziative che vadano a “premiare” le realtà più virtuose che non solo pubblicano in maniera continuativa i bilanci sociali, ma che certificano l’utilizzo di politiche di pagamento responsabili. Di fatto, bisognerebbe replicare l’iniziativa inglese conosciuta come Prompt Payment Code, volta a certificare le imprese che ottengono determinate performance in termini di pagamenti vero i propri fornitori. In Italia, un’iniziativa simile ha trovato riscontro nel Codice Italiano Pagamenti Responsabili di Confindustria, senza trovare però sinora un’ampia diffusione.

  • Autore

Ricercatore dell’Osservatorio Supply Chain Finance