La spesa pubblica in tecnologia: i nodi che bloccano l’innovazione!

08 ottobre 2018 / Di Luca Gastaldi / 0 Comments

L’Agenda Digitale ha posto la PA al centro della strategia di crescita digitale per il 2020. In poche parole, gli enti pubblici nazionali e locali hanno il compito di promuovere e abilitare le competenze e le tecnologie digitali nei confronti di imprese e cittadini.

La domanda sorge a questo punto spontanea. Come avvengono gli acquisti pubblici in tecnologie digitali?

La risposta: poco, e male. Oggi la spesa pubblica in tecnologie digitali vale meno dell’1% nei bilanci della PA, ma rappresenta una delle poche leve in grado di rendere qualitativamente ed economicamente sostenibile il restante 99%. D’altro canto tali acquisti devono essere riqualificati perché diversi sono gli sprechi denunciati nella gestione dell’informatica pubblica.

 

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Come riqualificare gli acquisti pubblici di ICT

A questo quadro, già di per sé contraddittorio, si aggiunge la Finanziaria 2016 che, tra i tanti tagli, ha chiesto alla PA italiana di sacrificare proprio gli investimenti in tecnologie digitali.

Dai 5,6 miliardi all’anno spesi mediamente tra 2013 al 2015 la PA, la riqualificazione prevista dalla Finanziaria dovrebbe far diminuire tale valore a 5,1 miliardi di euro entro il 2018, liberando risorse per investimenti (pari al 15% della spesa a parità di risorse).

Il nuovo procurement pubblico

La parola chiave è dunque riqualificazione. Sono quattro i principali interventi istituzionali volti ad accelerare la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione italiana e, contemporaneamente, a sanificare la spesa in infrastrutture tecnologiche:

  1. Piano Triennale, che indica alla PA cosa comprare;
  2. Nuovo codice dei contratti pubblici, che fornisce gli strumenti per farlo;
  3. Finanziaria 2016, che obbliga le PA a fare tali investimenti con tali strumenti;
  4. Istituzione dei soggetti aggregatori, che gestiscono l’aggregazione della domanda e l’interazione con il mondo dell’offerta.

Sulla carta è un nuovo modello di procurement pubblico che ha molto senso. Tuttavia, nella realtà ci sono ancora diverse questioni da correggere che forniscono alibi all’immobilismo sia all’offerta che alla domanda di tecnologie digitali.

 

I principali ostacoli all'innovazione

Giuste per fare qualche esempio illustre, alcune delle innovazioni digitali alla base del Piano triennale non sono facilmente acquistabili dalla PA. Basti pensare alle soluzioni in modalità as-a-service e agli approcci “agile” allo sviluppo applicativo.

Soluzioni in modalità As-a-Service

L’attuale modello induce all’utilizzo da parte delle PA dei servizi as-a-service offerti da Consip nella Gara “SPC Cloud”. Dato che non tutte le soluzioni cloud sono disponibili nella Gara istituita da Consip, sono previsti anche gli acquisti autonomi, ma per questi occorre l’autorizzazione preventiva del dirigente apicale e la comunicazione ad AgID e ANAC (con possibili responsabilità, anche di danno erariale, nel caso si ritenga non giustificato l’acquisto autonomo).

‪Forzando l’utilizzo dei servizi offerti da Consip, si spinge ad accogliere prezzi definiti nel 2016 e bloccati per 18 mesi. Fuori dagli accordi quadro di Consip invece, a seconda della spesa da sostenere, cambiano le procedure di acquisto, generando confusione sia nell’offerta che nella domanda.

Approcci “Agile” all’innovazione

‪Il Codice Appalti mette a disposizione i partenariati per l’innovazione (PPI), che possono essere articolati in fasi alla fine delle quali si può scegliere di proseguire solo con alcuni partner a seconda degli esiti della fase precedente. Oltre ai PPI ci sono gli appalti pre-commerciali (PCP) che sono molto incentivati in tutta Europa per fare innovazione digitale.

Nonostante siano disponibili tali strumenti innovativi, si rilevano alcune criticità: si registra ancora una forte dilatazione dei tempi di gestione dei partenariati e non esistono esperienze concrete a cui far riferimento (erano 6 i PPI in ambito ICT attivati in tutta Europa a Maggio 2017).


In entrambi i casi segnalati, i processi di procurement risultano ancora molto complessi e disincentivano la partecipazione di provider internazionali e/o di PMI/startup innovative. È necessario che gli strumenti a disposizione di chi compra e vende innovazione digitale in ambito pubblico siano adeguati alle sfide che ci troveremo ad affrontare nello scenario tratteggiato dal Piano triennale. In caso contrario, il nuovo modello alla base degli acquisti pubblici che si sta costruendo in questo Paese con tanta fatica e tempo rischia di rimanere solo sulla carta, rallentando (o peggio, bloccando) l’attuazione dell’Agenda Digitale italiana.

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  • Autore

Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale e dell’Osservatorio Design Thinking for Business, Ricercatore Senior l’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità e l’Osservatorio Smart Working.