Dall’Internet of Things la soluzione all’obsolescenza programmata

18 gennaio 2018 / Di Giovanni Miragliotta / 0 Comments

In questi giorni si fa un gran parlare delle prime cause, avviate in Francia alla luce del quadro normativo ivi vigente, circa il presunto rallentamento di alcuni modelli passati di iPhone in occasione degli aggiornamenti di sistema. Secondo l’accusa, un evidente caso di obsolescenza programmata. Diciamo la verità: tutti noi abbiamo avuto la sensazione che i nostri smartphone rallentassero o perdessero di prestazioni, in occasione degli aggiornamenti o al trascorrere del tempo, con una dinamica che non era spiegata dall’utilizzo o dalle app installate, e comunque molto più accelerata rispetto ai dispositivi elettronici tradizionali con cui abbiamo avuto a che fare finora (dalle console di videogiochi, ai computer domestici). Ma è davvero così? E come può il consumatore difendersi da queste pratiche?

Iniziamo col dire che, quello dell’obsolescenza programmata, è materia di contesa di vecchissima data, di ampia portata e difficilmente (o addirittura del tutto non) affrontabile con leggi e norme.

  • Di vecchissima data: il primo caso “storico” di obsolescenza programmata è quello delle lampadine (la cosiddetta “bulb conspiracy”) in cui quattro grandi produttori agli inizi del secolo scorso si accordarono in un cartello per contenere la vita delle lampadine (e assicurarsi così un sostanzioso mercato di sostituzione), rispetto ad un bene che avrebbe potuto tranquillamente essere ingegnerizzato per durare molto più a lungo (www.centennialbulb.org).
  • Di ampia portata: in primo luogo, per il numero di prodotti che sono esposti a questa tematica (ovvero praticamente tutti, con tanto di leggende metropolitane della lavatrice che si rompe esattamente allo scadere della garanzia), in secondo luogo per il numero e la complessità delle decisioni ingegneristiche che ci sono nella progettazione di un prodotto, e che richiederebbero (per essere valutate e giudicate) altrettanta competenza del pool di tecnici che ha preso quelle decisioni. A titolo di esempio, qual è la configurazione e dunque la durata ottimale di un filtro aria in un motore automobilistico, considerando che esso influenza l’efficienza della combustione, ma anche la gestione degli spazi nel vano motore, dunque i costi di progettazione, produzione, manutenzione, e di conseguenza le vendite attese? In altri termini, quanto costerebbe, e quanto mercato avrebbe, una lavatrice progettata per durare per sempre?
  • Difficilmente (o addirittura del tutto non) regolabile: al di là dell’obsolescenza determinata dal normale evolversi della “competizione funzionale” di un bene, vi sono fattori che possono comunque far ritenere preferibile un ricambio continuo dei prodotti. Una lavatrice “eterna”, infatti, è una lavatrice che tutta la sua vita opererebbe con di consumo di acqua ed energia determinato da tecnologie vecchie di decine di anni; lo stesso dicasi per una vettura (per la quale oltre ai consumi bisognerebbe pensare alla sicurezza). Questo fattore è così sensibile che, in alcuni ambiti, il regolatore ha ritenuto opportuno intervenire, laddove l’evoluzione competitiva non abbia sortito il rinnovo atteso, per incentivare o vietare l’uso di dispositivi obsoleti (cfr. veicoli più inquinanti e meno sicuri, progressivamente messi al bando).

Al di là di queste considerazioni, la verità è che esiste un forte ed intrinseco conflitto di interesse in seno ad ogni produttore il cui modello di business si basi sul ciclo acquisto-scarto-riacquisto. Con l’avvento dell’elettronica nei prodotti, ovviamente, le possibilità di utilizzare il software (meno visibile e più protetto di altri fattori progettuali) a fini di obsolescenza programmata o di altre pratiche scorrette (cfr. caso Volkswagen) si moltiplicano, arrivando fino ai casi, ancora una volta in Francia, delle cause contro i produttori di stampanti inkjet il cui software segnala di sostituire la cartuccia quando essa, fisicamente (secondo l’accusa) contiene ancora un 15% di inchiostro. E ancora una volta, chi ha ragione? E’ un avviso prudente, per lasciare all’utente il tempo necessario per riapprovvigionarsi e fare qualche stampa in più in emergenza, o è un tentativo malevolo di incrementare le vendite?

Se dalla tecnologia arrivano nuove occasioni per complicare lo scenario, dalla tecnologia arriva anche la soluzione definitiva al problema, quella che taglierà alla radice il conflitto di interessi: stiamo parlando dell’internet delle cose, con la sua capacità di spostare il mercato verso modelli di business basati sulla servitizzazione, e non più su cicli acquisto-scarto-riacquisto.

In questi nuovi scenari, il cliente / consumatore acquista e paga il servizio reso dal bene, non più il bene, e dunque è pieno interesse del produttore ottimizzare la vita del prodotto perché ogni extra costo ricadrà su di sé, mentre al cliente resterà la libertà di scegliere il fornitore del bene “pay per use” più competitivo (in qualità, servizio, e ovviamente prezzo). In alcuni settori questa pratica è già ampiamente diffusa, basti pensare, rimanendo in tema stampanti, alle soluzioni da ufficio: nei contratti di office printing si pagano le stampe fatte, e il cliente si dimentica del problema di eventuali guasti “ad orologeria”, perché la loro risoluzione è nel dominio di responsabilità del fornitore. Questo modello, nel settore industriale, è già ben diffuso, dai casi storici di Rolss Royce che vende le ore di funzionamento dei propri motori aeronautici, fino i più recenti casi di compressori industriali, per cui l’impresa industriale non paga il bene, ma nel tempo si pagano i m3 di fluido effettivamente processati. Lo stesso si può dire, ritornando al mondo consumer, per le auto o le biciclette condivise: a tendere, il consumatore non si dovrà più preoccupare se la durata di un filtro o di un componente sia stata progettata a suo danno, perché l’unico costo che si troverà a pagare è quello dei km che effettivamente percorre.

Questa è dunque la vera difesa a cui il consumatore può fare ricorso, molto più che non l’azione legale (individuale o collettiva). Quando dunque il mercato si sarà spostato in pieno da prodotto a servizio, e quando grazie all’Internet delle cose saremo arrivati fino all’umbrella sharing, finalmente ognuno di noi non avrà più la sensazione che gli ombrelli che ci vendono siano progettati per rompersi alla prima bava di vento, ed il concetto di obsolescenza programmata sarà diventato esso stesso… obsoleto.

  • Autore

Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Internet of Things