Della settimana lavorativa di 4 giorni, o settimana corta, se ne parla ormai da diverso tempo. Si tratta di un modello di flessibilità lavorativa, la cui conoscenza si è diffusa a seguito dei risultati emersi da una sperimentazione attuato nel Regno Unito, all’interno del progetto 4 Day Week.
Ma questo modello implica necessariamente lavorare di meno? La settimana lavorativa di 4 giorni porta effettivamente a benefici concreti per aziende e lavoratori? Proviamo a rispondere a queste e altre domande attraverso la Ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano.
Nel corso dell’articolo vedremo insieme:
- Cos’è e come funziona la settimana lavorativa di 4 giorni
- Dove si fa la settimana lavorativa di 4 giorni, i progetti ed alcuni esempi
- I benefici e i rischi della settimana lavorativa di 4 giorni
- Le conclusioni dell’Osservatorio Smart Working
Cos’è la settimana lavorativa di 4 giorni
Prima di comprendere come la settimana lavorativa 4 giorni funziona, analizziamo nel dettaglio qual è la sua definizione. Per farlo, estrapoliamo parte della ricerca dell’Osservatorio Smart Working.
In riferimento alla settimana lavorativa di 4 giorni, l’Osservatorio infatti definisce così la settimana lavorativa di 4 giorni:
Per settimana lavorativa di 4 giorni o settimana corta si intende la possibilità di godere di mezza giornata/una giornata libera nel corso della settimana lavorativa, riducendo le ore lavorate rispetto a quanto previsto dal contratto a parità di stipendio o, a parità di ore lavorate e di stipendio, rimodulando l’orario di lavoro settimanale in meno giorni. Non si considerino come settimana lavorativa di 4 giorni i contratti di part-time.
In letteratura, però, il fenomeno della settimana lavorativa di 4 giorni non trova una definizione univoca. Nello specifico, per capire cos’è e come funziona la settimana lavorativa di 4 giorni, possiamo identificare e definire due diversi modelli di funzionamento diversi:
- Compressed work week, in cui le ore lavorate a settimana non variano rispetto a quanto previsto dal CCNL e lo stipendio resta lo stesso, ma viene rimodulato l’orario lavorativo, così da godere di mezza giornata o una giornata libera a settimana; si tratta del modello maggiormente adottato dalle realtà italiane;
- Short work week (o modello 100-80-100), che prevede una riduzione del numero di ore lavorative giornaliere o del numero di giorni lavorativi settimanali; in questo caso le ore lavorate a settimana sono meno di quanto previsto dal CCNL e lo stipendio non varia.
Dove si fa la settimana lavorativa di 4 giorni, progetti ed alcuni esempi
Nell’ambito della settimana lavorativa di 4 giorni, come già accennato, uno dei trial più celebri degli ultimi anni è quello monitorato da 4 Day Weeknel Regno Unito. Tale iniziativa ha coinvolto 61 aziende, con un totale di 2900 dipendenti che da giugno a dicembre 2022 hanno lavorato 34 ore alla settimana distribuite su 4 giorni lavorativi. Il progetto è stato coordinato dal centro studi Autonomy e ha coinvolto diverse università, tra cui quelle di Cambridge e di Salford.
Al termine dei sei mesi questi enti hanno rilevato un netto miglioramento del benessere dei dipendenti senza, però, un calo in termini di fatturato delle aziende. Si sono registrati livelli inferiori di stress e burnout, che risultano diminuiti rispettivamente del 39% e del 71%. Inoltre, i permessi di astensione dal lavoro sono calati del 65% e le dimissioni volontarie del 57%. Infine, 56 aziende su 61, ossia il 92% del totale, hanno confermato di voler proseguire con questa nuova modalità di lavoro. Il progetto inglese 4 Day Week, però, si colloca all’interno di numerose altre iniziative di successo avvenute negli scorsi anni riguardanti la settimana lavorativa di 4 giorni.
Altri esempi sono rappresentati dalla società Perpentual Guardian in Nuova Zelanda, oppure da Microsoft in Giappone. Altri progetti, come quelle avvenuti in Belgio, hanno previsto per chi ne facesse richiesta la distribuzione delle ore lavorative settimanali all’interno di quattro giorni.
Anche in Italia i sindacati hanno aperto il dibattito sulla settimana lavorativa di 4 giorni, con la proposta di ridurre di 1/5 l’orario di lavoro. Sebbene nel nostro Paese non sia presente una normativa riguardante la settimana lavorativa di 4 giorni ci sono stati diversi casi che hanno ridotto autonomamente il monte ore settimanale con effetti positivi sia per dipendenti che per le aziende. Si tratta di Team System e Velvet Media, Mondelez International e PA Advice, Awin Italia e Carter&Benson. Anche Intesa Sanpaolo e SACE hanno inserito la flessibilità oraria nell’accordo aziendale, offrendo la possibilità di ridistribuire le ore settimanali complessive all’interno di una settimana lavorativa da 4 giorni.
I benefici e i rischi della settimana lavorativa di 4 giorni
Tutte queste iniziative inerenti alla settimana lavorativa di 4 giorni si inseriscono in un contesto più ampio. Si tratta di un vero e proprio cambiamento culturale, in cui la flessibilità e l’autonomia del proprio lavoro costituiscono fattore di miglioramento non solo per il benessere dei collaboratori, ma anche per le stesse organizzazioni.
Tra le iniziative orientate al raggiungimento degli obiettivi, piuttosto che alle ore lavorate, troviamo lo Smart Working, che ben si differenzia dal semplice Telelavoro.
Secondo gli ultimi dati di Ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il lavoro agile porta a un incremento di produttività del 15%-20% per persona. Inoltre, lo Smart Working comporta un maggiore livello di engagement rispetto a chi lavora stabilmente presso la sede di lavoro e a chi, pur potendo lavorare da casa, non ha altre forme di flessibilità (ad esempio di orario). Proprio come lo Smart Working, anche la settimana lavorativa di 4 giorni, o settimana corta, si colloca all’interno di un processo di trasformazione che vede protagonisti sia le organizzazioni che i propri collaboratori.
La settimana lavorativa di 4 giorni, agendo su una dimensione di flessibilità diversa rispetto al luogo, ha tra i benefici la possibilità di poter coinvolgere una platea più ampia di lavoratori. Questi comprendono anche coloro che, in base alla tipologia di attività, sono esclusi dal lavoro da remoto. A questo si aggiunge l’impatto positivo sul benessere dei dipendenti, come rilevato anche dagli esiti del progetto 4 Day Week, e la diminuzione dei costi delle spese generali legate agli edifici produttivi.
Sebbene ora si parli solo di sperimentazioni o di iniziative riguardanti poche realtà, se il fenomeno della settimana lavorativa di 4 giorni si diffondesse avrebbe sicuramente degli impatti interessanti sulle città e i loro tempi. Nel caso in cui una parte significativa di lavoratori usufruisse del modello della settimana lavorativa di 4 giorni ne conseguirebbe un effetto sulla mobilità urbana. Ciò richiederebbe, per esempio, un aggiornamento degli orari e della frequenza dei mezzi pubblici. Altrettanto interessanti sarebbero le possibili implicazioni nel settore del turismo. Un lavoro concentrato solo nelle giornate centrali della settimana potrebbe favorire il turismo nei weekend o nei giorni non lavorativi.
Tuttavia, non bisogna tralasciare alcune possibili criticità nell’implementare il modello della settimana lavorativa di 4 giorni. Attuare la settimana lavorativa di 4 giorni significa, prima di tutto, concentrare un numero maggiore di attività in meno giorni, favorendo il rischio di un innalzamento dei livelli di stress. Da considerare, inoltre, gli impatti sui processi operativi e sulla necessità di coordinamento tra chi lavora su 4 e su 5 giorni, sia all'interno che all'esterno dell’organizzazione.
Le conclusioni dell’Osservatorio Smart Working
Lavorare 4 giorni alla settimana potrebbe, quindi, portare a impatti interessanti e potenzialmente positivi, ma allo stesso tempo ogni organizzazione dovrebbe prima analizzare le criticità e i rischi correlati, al fine di capire la migliore formula da adottare per poi partire con la sperimentazione. Sicuramente lavorare sulla flessibilità oraria oltre che su quella di luogo è una evoluzione auspicata del nostro modo di lavorare.
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Direttrice dell'Osservatorio Smart Working
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