Alimentare e Turismo: il Made in Italy è per sempre?

10 aprile 2019 / Di Eleonora Lorenzini / 0 Comments

“Il Made in Italy è per sempre?”: è questa la domanda emersa durante la Ricerca 2018 dei nostri Osservatori Smart AgriFood e Innovazione Ditale nel Turismo.

Al di là dello slogan, è emerso un dubbio fondamentale che tocca la competitività di alcuni settori portanti dell’industria del Paese: il brand “Paese Italia”, identificato con il “Made in Italy” e spesso utilizzato in molti settori (alimentare, turismo, abbigliamento, musica, design, arte ecc.) per distinguere l’italianità di un prodotto o servizio al fine di valorizzarlo sul mercato, può rimanere intatto nel lungo periodo e garantire un vantaggio competitivo per il nostro Paese?

È una domanda a cui cercheremo di dare risposta attraverso le prossime ricerche, ma che trova già i primi riscontri da alcuni fenomeni che stiamo registrando.

 

La qualità alimentare non è solo Made in Italy

Se partiamo dall’alimentare, tutti sappiamo che qualsiasi prodotto con la scritta “Made in Italy” riceve da una parte importante dei consumatori internazionali una particolare attenzione. Da qui nascono le frodi legate all’“Italian Sounding” (cioè l’utilizzo di immagini, marchi e denominazioni che evocano l’Italia al fine di commercializzare prodotti non riconducibili in alcun modo al nostro Paese. Si pensi al ben noto “Parmesan”).

Attraverso la nostra esperienza ci siamo resi conto, tuttavia, che sempre più Paesi promuovono la qualità dei propri prodotti alimentari, sfatando così il mito del “cibo di qualità” come appannaggio esclusivo dell’Italia. Interessante, ad esempio, notare come all’interno di eventi internazionali estremamente partecipati dedicati al cibo di qualità – come a Londra o Berlino - non si registri una presenza significativa di aziende italiane. Le tendenze alimentari hanno origine, inoltre, molto spesso al di fuori del nostro Paese (si pensi al biologico). Anche attraverso una ricerca su Google è possibile constatare che, se si inseriscono nella lingua locale di tanti Paesi le parole “cibo di qualità”, non emergono prodotti italiani. Infine, molti format televisivi sulla ristorazione sono nati all’estero e sono quindi da noi importati.

Questo anche perché il concetto di qualità è tutt’altro che univoco, come viene dimostrato dal modello dell’Eptagono della Qualità Alimentare (consulta lo Slide Booklet "Qualità e sostenibilità con la tracciabilità digitale") che abbiamo sviluppato. Molte innovazioni recenti di successo nell’alimentare non sono nate in Italia, nonostante riguardino prodotti considerati da sempre nostri “feudi”, come è accaduto nel caso del caffè con Nespresso e Starbucks; o nel caso dei pomodori, dei quali l’Olanda è uno dei primi esportatori al mondo grazie a sistemi di coltivazione indoor altamente tecnologici, che hanno consentito non solo di aumentare la produzione ma anche di migliorarne il gusto rispetto al passato.

 

Cosa succede nel turismo

Nel settore Turismo invece, le debolezze del “Brand Italia” sono chiaramente evidenziate da un’analisi dei flussi turistici internazionali in arrivo nel Paese: se nel 1970 l’Italia era prima in termini di attrazione, nel 2017 - secondo i dati UNWTO - è quinta dietro Francia, Spagna, USA e Cina. Si potrebbe pensare che ci si sia concentrati sulla qualità e meno sulla quantità (e perciò la spesa) dei turisti, ma i numeri dicono che questo non è accaduto in modo significativo più che in altre destinazioni.

I motivi sono invece riconducibili a vari ambiti, ma alla base si può riconoscere una carenza strategica riguardo al Turismo e alle industrie ad esso collegate. Prendendo ad esempio il mercato cinese, tra i più interessanti sia per numero che per scontrino medio, l’Italia è dietro i principali competitor europei per capacità attrattiva. Come ben evidenziato da Giuliano Noci (Prorettore del Polo cinese del Politecnico di Milano) in occasione del Convegno dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo del 24 gennaio (scarica gli Atti e Video del Convegno "La Via Digitale Italiana per il futuro del Turismo"), è mancata e manca ancora una strategia di medio-lungo periodo legata a vari fattori, tra cui:

  • l’incapacità di valorizzare i nostri brand (non ci risulta che nessun nostro museo abbia saputo valorizzare il proprio brand come ha fatto, ad esempio, il Louvre di Parigi);
  • un deficit strutturale sulle connessioni (quelle aeree in particolare: i cinesi arrivano in Italia di risulta da altre città europee)
  • lo storytelling che valorizzi il territorio tramite l’industria dell’audio-visivo (su tutte quella cinematografica) primo veicolo di conoscenza e apprendimento per i cinesi (i villaggi turistici svizzeri sono i set di fiction distribuite in Cina).

Se un possibile rischio è che l’Italia perda competitività, è anche verosimile uno scenario in cui, visti gli straordinari asset a disposizione nel nostro Paese, i cinesi inizino a investire pesantemente per offrire esperienze e prodotti ai milioni di turisti e consumatori che cercano contenuti italiani. Questo d’altro canto sta già avvenendo in altri ambiti con il tessile o l’industria dello sport.

E allora alla domanda con cui abbiamo aperto (“Il Made in Italy è per sempre?”) se ne dovrebbe aggiungere un’altra, altrettanto preoccupante: “Made in Italy... ma da chi?

 


Chiara Corbo, Eleonora Lorenzini, Filippo Renga - Osservatori Innovazione Digitale nel Turismo e Osservatorio Smart Agrifood

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  • Autore

Direttore degli Osservatori Innovazione Digitale nel Turismo e Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali