SPID e CIE per l'accesso ai servizi pubblici: l'ora è arrivata (ma non siamo ancora pronti)

Aggiornato il / Creato il / Di Giorgia Dragoni

Tempo scaduto! È ufficialmente superata la fatidica scadenza del 28 febbraio 2021, data in cui SPID (il Sistema Pubblico di Identità Digitale) e CIE (la Carta d’identità elettronica) diventano le credenziali uniche per accedere ai servizi online della PA, secondo quanto stabilito dal Decreto Semplificazioni.

Nell’articolo 24 del DL 76/2020, infatti, si definisce che tutte le Pubbliche Amministrazioni, centrali e locali, sono chiamate a interrompere il rilascio di credenziali proprietarie e a integrare nei propri sistemi informativi SPID e CIE come unico sistema di identificazione per l’accesso ai servizi digitali. Le vecchie credenziali restano per il momento valide, fino alla loro naturale scadenza e non oltre il 30 settembre 2021.

Una domanda sorge quindi spontanea: la scadenza è stata rispettata? È davvero possibile dimenticarci delle diverse credenziali attivate in questi anni e utilizzare soltanto la nostra identità digitale per fruire di servizi pubblici? Purtroppo, per ora, sembra di no.

 

SPID e CIE: i numeri

Iniziamo con il dire che il 2020 ha rappresentato un anno di svolta per l’identità digitale: le identità SPID attivate sono passate dai 5,6 milioni di gennaio 2020 agli oltre 17,5 milioni attuali, con un tasso di crescita superiore al 190% registrato nell’ultimo anno. Meno impetuoso ma comunque significativo l’aumento della diffusione delle CIE rilasciate, cresciute da 13 a oltre 19,2 milioni.

Se per quanto riguarda le CIE, il dato sul totale dei rilasci non è utile per stimare l’effettiva diffusione di questo sistema come riconoscimento in ambito digitale (hanno sì sostituito il vecchio documento d’identità cartaceo, ma non è detto che gli utenti che ne sono in possesso le utilizzino effettivamente anche per l’accesso ai servizi online), nel caso di SPID è invece possibile affermare che il trend positivo in termini di diffusione si sta traducendo progressivamente anche in un concreto utilizzo.

Il numero di accessi mensili effettuati con SPID è infatti passato da poco più di 6 milioni registrati nel primo mese del 2020 fino a superare i 30 milioni sia nel mese di dicembre 2020 sia a gennaio 2021.

Considerando soltanto la popolazione maggiorenne (al momento è possibile attivare SPID a partire dal compimento 18 anni), quasi il 35% degli italiani è in possesso della propria identità digitale.

Se l’adozione lato utente ha raggiunto numeri rilevanti, è invece proprio la rosa di servizi accessibili a presentare ancora elementi di criticità: a oggi, sono soltanto poco più di 6.280 le PA che hanno integrato SPID per fruire di almeno un loro servizio digitale e circa 240 quelle che hanno integrato CIE (dati Ministero dell’Interno).

Nonostante la scadenza del 28 febbraio 2021, quindi, siamo ben lontani dal raggiungere gli obiettivi prefissati.

 

Cosa succede ora? Le possibili evoluzioni del panorama dell’identità digitale in Italia

Purtroppo, il mancato rispetto della scadenza non ci stupisce. L’adesione ai sistemi SPID e CIE da parte degli enti pubblici presuppone infatti un certo livello di digitalizzazione dei processi di back-office, per poterli rendere fruibili online dal cittadino. Raggiungere questo prerequisito è un obiettivo molto sfidante per una macchina pubblica farraginosa – e lo è in particolar modo per le PA più piccole – in cui mancano competenze e risorse per innescare la trasformazione digitale.

A supporto di questa trasformazione digitale, fanno ben sperare i dati sugli aggregatori SPID di servizi pubblici che stiamo monitorando. I soggetti aggregatori, che offrono a terzi la possibilità di rendere accessibili tramite SPID i rispettivi servizi, sono cresciuti dell’81% solo nell’ultimo mese: segnale del forte interesse che l’identità digitale riesce a creare nel suo ecosistema, generando opportunità per nuovi attori che si stanno affacciando in questo mercato per accelerarne lo sviluppo.

Nel pieno di questa spinta senza precedenti, sarebbe opportuno capitalizzare questo slancio anche nel mondo dei servizi privati, dove l’introduzione degli aggregatori è ancora ferma sui tavoli istituzionali in attesa della risoluzione di alcune criticità legate al trattamento dei dati.

Un altro fronte cruciale su cui è necessaria un’accelerazione è quello dei gestori di attributi qualificati, che consentirebbero di arricchire il profilo dell’identità digitale dell’utente aprendo nuove opportunità di valorizzazione. Uno tra i settori maggiormente interessati è sicuramente quello finanziario, in cui i sistemi di identificazione elettronica potrebbero assolvere alle verifiche nell’ambito di KYC e AML.

Come scrivevamo nel novembre scorso interrogandoci sulle possibili linee di lavoro per l’Italia, arricchimento dei dati, coinvolgimento di nuovi attori nell’ecosistema e creazione di cultura rappresentano alcune delle dimensioni chiave da sviluppare per permettere una valorizzazione più matura degli asset esistenti a livello di sistema Paese, in primis SPID e CIE, di cui è ora fondamentale favorire una maggiore diffusione e una più consapevole adozione.

 

Come viene gestita l’identità digitale degli utenti nelle grandi aziende italiane?

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  • Autore

Direttore dell'Osservatorio Digital Identity e Ricercatrice dell'Osservatorio Cyber Security & Data Protection