SPID e CIE: facciamo parlare i dati

22 dicembre 2022 / Di Giorgia Dragoni / 0 Comments

 

Grande fermento hanno suscitato le parole del sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione tecnologica Alessio Butti (in questo articolo il dettaglio delle dichiarazioni), riguardo a una migrazione progressiva verso un unico sistema di identità digitale italiano, che verosimilmente diventerebbe CIE.

Facciamo un passo indietro per comprendere come siamo arrivati fin qui. In Italia sono attualmente attivi SPID e CIE quali sistemi di identità digitale:

  • SPID, che significa Sistema Pubblico di Identità Digitale, è nato nel 2016 ed è basato su una partnership tra Pubblico e Privato. L’ Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), infatti, ne presidia lo sviluppo normativo e strategico, supportata da 10 gestori di identità digitale (Identity Provider, IdP), costituiti prevalentemente da aziende private. Gli IdP gestiscono l’architettura federata alla base del sistema, ne facilitano la diffusione tra gli utenti finali e l’adozione da parte degli enti pubblici e delle organizzazioni private che intendono aderirvi (Service Provider, SP).
  • CIE, che significa Carta d'Identità Elettronica, è il sistema di identità erogato e gestito centralmente dal Ministero dell’Interno e dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, che ne presidia l’erogazione fisica e gli strumenti per il suo utilizzo digitale tramite l’app CieID, lanciata nel 2020. È cruciale fare questo primo distinguo, in quanto possedere la CIE non implica necessariamente aver attivato CieID, che consente di creare la versione digitale della propria carta da utilizzare online.

 

L’importanza di comparare i giusti numeri tra SPID e CIE

Attualmente SPID è in mano a 33,3 milioni di cittadini, CIE a 32,6 milioni. Tuttavia, il numero di carte di identità rilasciate non è un buon modo per stimare l’effettivo utilizzo digitale, che può avvenire tramite l’app CieID per smartphone o tramite un lettore di smartcard collegato al computer via usb.

Purtroppo, non sono pubblici i dati degli accessi digitali effettuati tramite queste due modalità, ma secondo le stime dell’Osservatorio Digital Identity* nel 2022 sono tra i 4,5 e i 5,5 milioni i cittadini che accedono tramite l’app CieID e altrettanti coloro che utilizzano il lettore di smartcard per effettuare il riconoscimento online.

Quindi, il confronto tra la diffusione di questi due sistemi di riconoscimento elettronico non può essere 33,3 milioni di SPID rispetto a 32,6 milioni di CIE, bensì rispetto a circa 10 milioni di cittadini che utilizzano il documento nella sua versione digitale. La CIE, infatti, diventa automaticamente la carta d’identità dei cittadini alla scadenza della versione cartacea (un processo che porta, quindi, la totale conversione della popolazione in un periodo massimo di 10 anni), mentre SPID viene richiesto e attivato in base alle precise necessità dei cittadini di fruire di servizi digitali pubblici o privati.

 

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Dobbiamo per forza scegliere?

Molti Paesi a livello internazionale hanno dimostrato che la convivenza e la pluralità di sistemi di identità digitale è sostenibile e che non è necessariamente un problema: un esempio è l’Estonia, che pur avendo una popolazione minore della Liguria, ha attivato nel tempo molteplici sistemi di riconoscimento elettronico, lasciando la libertà a cittadini e aziende di scegliere quale integrare in base alla propria familiarità con lo strumento o alla criticità del servizio.

È importante ricordare che il PNRR ci pone un obiettivo sfidante: arrivare a 42,3 milioni di cittadini in possesso uno strumento di identità digitale entro il 2026. Sarebbe molto complesso raggiungere questo traguardo spegnendo il sistema che ad oggi ne conta di più e ripartendo dal meno diffuso.

Non tralasciamo poi il contesto europeo: stiamo viaggiando spediti verso il nuovo sistema di identità digitale comunitaria, l’European Digital Identity (EUDI) Wallet, che arriverà verosimilmente nel 2024 e che consentirà di integrare sia CIE sia SPID.

Proprio su questo ultimo tema, nei giorni scorsi è stato pubblicato dalla Commissione europea il documento ufficiale che illustra a grandi linee come avverrà questa convergenza. Nelle (faticose) interlocuzioni portate avanti sui tavoli europei per la stesura di questo documento, gli enti istituzionali italiani coinvolti hanno cercato di trovare dei punti di incontro con gli altri Stati membri per stilare le condizioni migliori per la valorizzazione anche di sistemi attivi con livello di sicurezza “substantial” (come SPID), che rischiavano in un primo momento di essere tagliati fuori dal nuovo European Digital Identity (EUDI) Wallet, in favore di sistemi con livello di sicurezza “high” (come CIE).

Ora è stato deciso che SPID e CIE potranno essere usati per inizializzare il wallet, e nel primo caso sarà solo necessario uno strumento di riconoscimento aggiuntivo per sopperire al diverso LoA di partenza. Le ragioni dietro la ricerca di questo cruciale compromesso erano proprio relative alla ormai indiscussa diffusione di SPID e alla maggiore familiarità degli italiani con questo strumento rispetto agli altri.

 

Le considerazioni dell’Osservatorio Digital Identity

Sarebbe sbagliato spegnere SPID. È uno strumento che funziona, è considerato un caso di successo a livello europeo e ci consentirà di raggiungere per la prima volta nei sistemi di identità digitale italiani la soglia del miliardo di accessi annui.

Sono notevoli gli investimenti sostenuti dallo Stato per governare questo sistema e supportare l’adesione della PA (così come fatto anche con CIE), ma in SPID vi è un intero ecosistema di aziende private – come Identity Provider e Soggetti Aggregatori – che hanno visto in questo asset nazionale un’opportunità da valorizzare e di investimento.

E, infine, visto anche il progetto europeo, non ha senso rinchiudersi ora in questi due sistemi. In un futuro prossimo potrebbero arrivare nuove tecnologie e nuovi paradigmi – per esempio, la self-sovereign identity abilitata dalla blockchain e il digital wallet – che consentiranno di armonizzare e orchestrare in un unico strumento i sistemi attualmente esistenti. Non si tratta un’idea fantascientifica, ma del progetto europeo.

* Le stime sono basate su una survey statisticamente rappresentativa della popolazione internet italiana tra i 18 e i 75 anni.

 

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Autori:

L'articolo è stato scritto da Giorgia Dragoni in collaborazione con Clarissa Falcone, ricercatrice dell'Osservatorio Digital Identity.

  • Autore

Direttore dell'Osservatorio Digital Identity e Ricercatrice dell'Osservatorio Cyber Security & Data Protection