Il ruolo dell’Open Innovation durante la pandemia

15 settembre 2021 / Di Alessandra Luksch / 0 Comments

Il 28 giugno si è tenuto il kickoff dell’ottava edizione dell’Osservatorio Startup Intelligence in collaborazione con PoliHub. Alla presenza di oltre 150 manager, l’evento è stato inaugurato dall’intervento del prof. Henry Chesbrough, Maire Tecnimont Professor of Open Innovation della Luiss University e Faculty Director del Garwood Center for Corporate Innovation UC Berkeley, accompagnato dal prof. Federico Frattini, Dean del Mip Politecnico di Milano.

L'innovazione aperta sta diventando un elemento sempre più considerato dalle imprese. Si tratta di un trend anche italiano, come emerge dai dati della ricerca dell’Osservatorio Startup Intelligence, secondo cui nel 2020 il 78% delle grandi imprese e il 53% delle PMI hanno adottato azioni di Open Innovation, sia inbound sia outbound, con una forte crescita rispetto al 2019.

Durante l’intervento è stato presentato il recente testo pubblicato dal prof. Chesbrough, “Open innovation results”, in cui si illustra come la pandemia abbia visto scendere in campo più volte l’Open Innovation, anche in Italia. Secondo Chesbrough le tre azioni fondamentali per contrastare la situazione di crisi sono: fermare la trasmissione della malattia, iniziare la ripresa economica, essere preparati nel gestire una nuova occorrenza della malattia.

 

L'Open Innovation per rallentare la pandemia

Il primo passo per contrastare la diffusione della malattia è diventare più veloci e flessibili, caratteristiche per cui l’innovazione aperta può essere più utile. Quando collaboriamo con altri, infatti, ognuna delle parti può contribuire con le proprie competenze e conoscenze, arricchendo tutti gli attori in gioco e velocizzando i tempi di sviluppo delle innovazioni. Inoltre, l’Open Innovation spinge al riuso e alla ricombinazione delle risorse.

Se guardiamo ai vaccini che si sono diffusi, si tratta di soluzioni generate da prodotti di ricerche esistenti e ricombinati, in molti casi frutto di collaborazioni tra startup, Università e grandi aziende (ad esempio Pfizer-BioNTech e Moderna) su cui molti Governi, come gli Stati Uniti, hanno investito pur sapendo dell’incertezza dell’investimento e autorizzando pratiche in emergenza. Anche per quanto riguarda l’Italia, l’Osservatorio Startup Intelligence ha evidenziato esempi eccellenti di Open Innovation per fronteggiare la pandemia, a cominciare dal caso Isinnova con i respiratori per i pazienti affetti da Covid-19, ma anche le tante startup (l’Osservatorio ne ha censite ben 256 in Italia) che hanno offerto servizi e prodotti, quasi sempre gratuitamente, durante i mesi più bui dell’emergenza, come WeSchool, ufirst, Soldo, Satispay.

 

L'Open Innovation per accelerare la ripresa economica

Relativamente alla ripresa, il monito del prof. Chesbrough, è che sia necessario partire dai punti deboli. Alcune aree dell’economia impiegheranno molto tempo per riprendersi e devono essere le prime su cui focalizzarsi. Altre invece hanno beneficiato del cambiamento repentino di contesto, come è il caso della trasformazione digitale che con la pandemia ha avuto un’accelerazione irreversibile. Secondo le parole di Chesbrough, molti dei processi che si sono trasformati con la pandemia non torneranno al punto in cui erano prima del contagio, in termini di adozione del digitale, come la didattica. Le imprese devono quindi agire sul re-skilling delle proprie persone verso la trasformazione digitale ormai avviata.

Anche per la ripresa economica si possono applicare i principi dell’Open Innovation, utilizzando i flussi di conoscenza per trovare nuove opportunità di crescita con gli asset esistenti, ha proseguito il professor Chesbrough. L'innovazione aperta, infatti, può permettere di esplorare più opzioni di crescita in parallelo, generando, secondo un’espressione calcistica, più “tiri in porta”. Inoltre, l’approccio all’Open Innovation consente di cogliere più efficacemente i segnali deboli iniziali di convalida o fallimento delle soluzioni.

 

L'Open Innovation per non restare impreparati

Il terzo punto non riguarda “se”, ma “quando” la pandemia si ripresenterà. Nell’affrontare la ricomparsa della malattia dovremo farci trovare pronti con le dovute infrastrutture (ospedali, trasporti, scuole…), ha affermato Chesbrough. Questo ci permetterà di reagire e innovare efficacemente, rispondere velocemente ai cambiamenti ed essere resilienti. Le imprese devono quindi rafforzare i propri processi e aumentare la capacità di agire nei confronti dei propri ecosistemi; esse non devono trattare l’innovazione come un bene di lusso, praticata solo nei momenti favorevoli e tagliata nei momenti di crisi.

Chesbrough ha infine citato il caso virtuoso del ponte Morandi, crollato per la mancanza di manutenzione, ma ricostruito in tempi record grazie all’accelerazione imposta dalla Pubblica Amministrazione e alla collaborazione e integrazione all’interno dell’organizzazione dei lavori. I Governi hanno un ruolo guida nello sviluppo delle infrastrutture e possono stimolare l’innovazione attraverso una più veloce ed efficiente amministrazione dei fondi, così come sta avvenendo con il Governo Draghi attraverso i piani di recupero europei e le risorse messe a disposizione per l’Italia.

Il professore ha infine ricordato che anche il mondo delle startup va sostenuto e per questo serve una forte spinta all’ecosistema con finanziamenti in capitale di rischio, per mettere a disposizione più risorse, così come sta attuando nel nostro Paese il fondo CDP, la cui azione può fungere anche da stimolo agli investimenti privati.

In questa direzione lavora anche da 8 anni l’Osservatorio Startup Intelligence del Politecnico di Milano, che ha accompagnato oltre 90 imprese italiane e più di 300 startup, per favorire l’innovazione aperta in Italia e la collaborazione tra imprese e startup.

 

L'Open Innovation dalla teoria alla pratica: quali azioni stanno adottando le imprese italiane?

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  • Autore

Direttore degli Osservatori Startup Intelligence e Digital Transformation Academy