Lo scorso 7 febbraio è iniziato in diretta su Rai 1 la 73esima edizione del Festival di Sanremo e il successo è stato immediato: la prima serata è stata seguita da 10,7 milioni di italiani, il 62,4% delle televisioni era sintonizzato sul Festival, con una crescita del 4,6% sull’anno precedente.
A che cosa si può attribuire tutto questo successo? Potremmo essere di parte, ma la risposta è semplice: Sanremo non è più solo un evento. Sanremo è un caso di piattaforma, o meglio, di platform thinking.
Sanremo e pubblicità: un esempio di platform thinking
Nei giorni antecedenti al Festival Lucio Presta, manager di Amadeus, ha rilasciato una dichiarazione in cui ha paragonato Sanremo a una serie TV, grazie ai numerosi annunci “a puntate” fatti nei mesi passati tramite il TG1, che hanno permesso al Festival di essere ripreso da tutta la stampa, diversamente dalle edizioni passate che prevedevano annunci in esclusiva pubblicati da un singolo quotidiano.
L'intuizione di Presta secondo cui Sanremo non sarebbe più, dunque, un evento lineare è estremamente interessante. Ma se ci fosse molto di più? Analizzando la comunicazione di Sanremo potremmo affermare che questa va oltre la serialità televisiva, diventando un "contenitore", una piattaforma vera e propria!
Sanremo è una piattaforma per via della pubblicità…
I meccanismi pubblicitari sono una tipica dinamica di piattaforma ortogonale, dove un qualsiasi prodotto televisivo – come il Festival in questo caso – ha due clienti: da un lato gli spettatori, che fruiscono dello spettacolo, e dall’altro gli inserzionisti pubblicitari, che investono nel Festival per ricevere l’attenzione dei primi. Questo modello è tutt’altro che raro, basti pensare a televisioni come Mediaset e RAI, a quotidiani come la Gazzetta dello sport e la Repubblica, o a servizi digitali come Google o Facebook.
Tale tipologia di piattaforma, che vede come clienti sia gli spettatori che gli inserzionisti pubblicitari, non rappresenta nulla di nuovo, anzi: Sanremo è uno dei casi più virtuosi del nostro panorama televisivo, capace di raccogliere oltre 50 milioni di euro a fronte di un budget stimato di 17/18 milioni. Tuttavia, il Festival rappresenta un caso di piattaforma estremamente articolato, molto più di un modello ortogonali.
…e se fosse (anche) un’innovation platform?
Per capire il valore e la componente innovativa del Festival occorre prendere in considerazione anche un altro concetto, quello di innovation platform, perfettamente rappresentata dal computer. Questo strumento, o per essere più precisi il suo sistema operativo, ne è un tipico esempio, in quanto sostituisce una piattaforma con due clienti sulla quale uno dei due gruppi può “creare valore” (o, in senso stretto, "fare innovazione"). Da una parte abbiamo gli utilizzatori, dall’altra i complementor, ossia altre organizzazioni che decidono di “costruire” sulla piattaforma, generando un beneficio sia per l’utente finale che per chi ha costruito la piattaforma.
L’esempio tipico è quello di Adobe che sviluppa prodotti, come Photoshop, offerti poi ai consumatori, dando valore agli utilizzatori, ma anche ai produttori del computer e del sistema operativo. Adobe è a tutti gli effetti un cliente di sistemi operativi come Windows: alcune delle funzionalità sono in realtà già incluse nella piattaforma e, di conseguenza, i complementor possono utilizzarle senza doverle sviluppare da zero. Questo vale, per esempio, per la gestione delle stampanti connesse a un computer: il singolo software, per esempio Photoshop, si limita ad attivarle, ma queste sono già gestite dal sistema operativo prima di installare il programma (e sono utilizzabili da qualunque altro programma). Fare innovazione è, quindi, un po’ più semplice perché parte del lavoro è già stato fatto da chi ha creato la il sistema operativo (la piattaforma).
È importante sottolineare come l’esistenza dei complementor sia però essenziale per la piattaforma che vede il suo valore – agli occhi dei clienti finali – aumentare per ogni complementor che sviluppa un nuovo pezzetto. Pensate a quanto poco utile sarebbe un computer senza programmi… o un iPhone senza app.
Compreso questo concetto, possiamo considerare Sanremo come un'innovation platform, o più precisamente, come un’opera di platform thinking.
Sanremo come platform thinking
Fino a qualche anno fa i cantanti che partecipavano a Sanremo erano considerati “artisti televisivi”, con un forte richiamo per il “cliente” tipico del Festival: gli spettatori televisivi. La “gestione” Amadeus nel corso degli ultimi anni, però, ha iniziato a utilizzare una logica diversa, in cui il cast artistico è accuratamente bilanciato per permettere (quasi) a chiunque di vedere qualcosa di interessante sulla “piattaforma Festival”. Sul palco dell'Ariston sono saliti Achille Lauro, col suo stile alternativo, i Måneskin, con il loro piglio rock, ma soprattutto Rosa Chemical, che non incontra minimamente i gusti del tipico pubblico di Rai 1. Si tratta di un'importante opportunità per tutti i protagonisti: i cantanti possono offrire al Festival il proprio pubblico, che con poca probabilità si sintonizzerebbe su Rai 1. Allo stesso tempo il programma attrae milioni di spettatori che difficilmente incontrerebbero la musica di Rosa Chemical altrove.
In questo modo il Festival diventa uno spazio di co-creazione dove audience e forse “mondi” diversi possono incontrarsi e contaminarsi. E questo lo vediamo in tante attività di questo Festival:
- il cast degli artisti è accuratamente scelto per coprire quasi ogni sfumatura musicale commerciale, portando ascoltatori diversi, ma potendo offrirsi a un'importante fetta di pubblico.
- le co-conduttrici rappresentano anime diverse, dall’imprenditoria digitale, allo sport, portando sul palco (pardon, sulla piattaforma) fasce di pubblico diverse.
- le trasmissioni partner, dal TG 1, a Viva Rai 2, al programma YouTube e Spotify Muschio Selvaggio condotto da Fedez, consentono di comunicare a spettatori diversi. Attraverso i canali online, in particolare, Fedez avvicina alla Rai quei giovani che sempre più spesso cercano lontano dalla televisione tradizionale il proprio canale di intrattenimento.
Al tempo stesso, i complementor possono beneficiare del lavoro della piattaforma: Fedez incontra un nuovo pubblico, Giorgia può presentare il suo nuovo progetto discografico anche ai più giovani e può raccontarsi a persone che, da sola, farebbe fatica ad incontrare. Infine, anche il TG 1 beneficia degli ascolti dati dagli annunci spot di Amadeus.
Questi sono tutti segnali che mostrano come Sanremo è (o sta diventando) sempre più evidentemente una piattaforma, che si rivolge contemporaneamente a spettatori, cantanti, programmi partner, inserzionisti. Tutti gli attori contribuiscono alla creazione di un valore usato dagli altri e tutti sono clienti: questo è platform thinking. I numeri dimostrano come questo approccio permette di aumentare la generazione di valore complessivo, raggiungendo numeri mai visti prima (al contrario della tv generalista, i cui numeri stanno crollando mese dopo mese).
Lo stesso Presta suggerisce di ripensare la location per rendere il Festival un evento più adatto ai tempi moderni. A nostro avviso potrebbe non trattarsi più di un teatro, ma del mondo digitale delle piattaforme, del metaverso e di uno spazio diverso di scambio e fruizione…magari passando da Spotify.
Conclusioni
Vedere in Sanremo una dinamica di piattaforma significa cogliere alcuni elementi chiave dell’approccio Platform Thinking:
- le piattaforme non sono solo start-up digitali nate in Silicon Valley, ma sono meccanismi di creazione e di scambio di valore, che possono trovare il loro spazio anche in una grande impresa storica come la RAI;
- le piattaforme non sono solo digitali, ma sono principalmente un meccanismo di scambio, che può trovare spazio anche nel mondo fisico o in un evento come il Festival.
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L’articolo è stato scritto da Daniel Trabucchi e Tommaso Buganza, rispettivamente Senior Assistant Professor e Full Professor della School of Management, Politecnico di Milano.
- Autore
Responsabile Scientifico e Direttore dell'Osservatorio Platform Thinking HUB
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