In questa pagina:

  • Cosa si intende per Open Innovation
  • Perché fare Open Innovation
  • Come fare Open Innovation
  • Inbound Open Innovation
  • Outbound Open Innovation
  • Collaborare con le startup: la chiave per l'Open Innovation
  • Dall'Open Innovation alla Corporate Entrepreneurship
  • Gli abilitatori della Open Innovation in azienda: Innovation Manager, Open Innovation Manager e Innovation Champion
  • L'Open Innovation in Italia: diffusione e nuovi trend

Cosa si intende per Open Innovation

Che cosa significa Open Innovation? Rispondiamo a questa attraverso la definizione espressa nel saggio Explicating Open Innovation: Clarifying an Emerging Paradigm for Understanding Innovation, scritto dagli accademici Henry Chesbrough e Marcel Bogers nel 2014. 

L'Open Innovation si riferisce a un modello di innovazione distribuita che prevede la gestione di flussi e deflussi di conoscenza oltre i confini organizzativi, per motivi pecuniari e non pecuniari, in linea con il modello di business dell'organizzazione.

Secondo questa filosofia, per innovarsi oggi le imprese devono affidarsi a un modello di innovazione che non tenga conto solo delle idee e delle risorse interne, ma anche di strumenti e competenze provenienti dall’esterno, in particolare da startup, università, istituti di ricerca, consulenti e altre aziende, concorrenti e no. Allo stesso modo le imprese non devono più solo ragionare in termine di sfruttamento interno delle idee, ma devono tenere in considerazione anche percorsi verso il mercato esterni ai propri confini o alternativi al proprio modello di business.

Chi ha coniato il termine Open Innovation: la teoria di Chesbrough

È importante precisare che il concetto di Open Innovation è stato teorizzato prima del 2014. L’Innovazione Aperta è stata trattata per la prima volta nel saggio "The era of Open Innovation", redatto da Chesbrough nel 2003.

In questo caposaldo della letteratura relativa all’Open Innovation, Chesbrough affronta con lungimiranza il tema della Trasformazione in azienda, focalizzandosi sul modello di innovazione “chiuso” tipico delle imprese per proporre un modello di innovazione “aperta” (Open innovation, appunto). Come teorizzato da Chesbroughl’Open Innovation è un paradigma che afferma che le imprese possono e debbono fare ricorso a idee esterne, così come a quelle interne, ed accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche”.

L’obiettivo dell’Open Innovation è quello, quindi, di permettere alle imprese di far fronte alle nuove dinamiche di mercato e rimanere competitive.

Perché fare Open Innovation

Data la definizione di Open Innovation, si rende necessario capire perché è importante farla. In un contesto come quello attuale, caratterizzato da incertezze economiche e geopolitiche e da una rapida evoluzione tecnologica, per essere competitiva un’impresa oggi non può più fare a meno dell’innovazione.

Il confronto sull’Open Innovation, però, non è più solo con i competitor, ma anche con aziende non concorrenti e realtà dove la ricerca è un elemento chiave per il progresso. Per tali motivi sono molte le imprese, specialmente di grandi dimensioni, che hanno messo l'Open Innovation al centro delle loro scelte strategiche.

L’adozione dell’Open Innovation può portare importanti vantaggi. La lista dei benefici dell'Open Innovation è più che lunga. Tra questi i principali individuati dall’Osservatorio Startup Thinking del Politecnico di Milano sono:

  • identificazione di nuove opportunità di business per una più aperta visione;
  • aumento di velocità, qualità e quantità di innovazione;
  • riduzione ed esternalizzazione dei rischi nei progetti di innovazione per l’adozione di soluzioni già avanzate;
  • riduzione dei costi di Ricerca & Sviluppo per il ricorso a soluzioni già sviluppate;
  • adozione di nuovi trend tecnologici per una migliore interazione con l’ecosistema degli innovatori;
  • spinta all’innovazione organizzativa per l’incontro con nuovi profili e competenze avanzate.

Come fare Open Innovation

Come fare Open Innovation nella pratica? Per far fronte alle difficoltà che permeano l’economia, le organizzazioni italiane hanno dunque iniziato a aderire ai dettami dell'Open Innovation delineati da Chesbrough.

Nello specifico, le imprese hanno iniziato a collaborare sempre di più con enti e figure esterne come Università, Centri di Ricerca, Startup, imprese concorrenti o attori più tradizionali come Vendor ICT e Società di Consulenza. Il tutto con l'obiettivo non banale di implementare nuove tecnologie e opportunità di business, così da ridurre i rischi e i costi legati all’innovazione e condividerne i benefici.

Le imprese che riconoscono il valore dell’Open Innovation ricorrono a questo paradigma con due approcci differenti: Inbound Open Innovation e Outbound Open Innovation. Analizziamo questi modelli più nel dettaglio, approfondendo anche quali sono le "azioni" a cui è possibile ricorrere.

Inbound Open Innovation

Questo approccio si basa sull’adozione di stimoli esterni per fare innovazione all'interno dell’impresa. Secondo la ricerca dell’Osservatorio Startup Thinking, le azioni di Inbound Open Innovation più comuni tra le grandi imprese italiane sono le collaborazioni con Università e partner consolidati. Si tratta di azioni che comportano minori investimenti e rischi, ma anche risultati più modesti. Altre iniziative, riguardanti le startup, includono la creazione di incubatori e acceleratori interni e di Corporate Venture Capital. Queste ultime attività hanno un maggior impatto non solo in termini di sforzo, ma anche di risultati.

Collaborazioni Università e Ricerca

Tramite le collaborazioni con Università e Centri di Ricerca si ha accesso a invenzioni e brevetti, e la possibilità di sperimentazione di nuove tecnologie e metodologie.

Incubatori e acceleratori interni

Incubatori e acceleratori supportano la creazione e lo sviluppo di iniziative imprenditoriali innovative, specie di startup, attraverso diversi strumenti e attività, come il mentoring, il networking, il co-working, risorse fisiche, finanziamenti, ecc.

Corporate Venture Capital

I Corporate Venture Capital, o CVC, sono fondi aziendali aventi l’obiettivo di rilevare quote di startup con un’ottica non solamente finanziaria, ma anche indirizzata ad avere un accesso privilegiato alle innovazioni e alle tecnologie sviluppate.

Call4Ideas, Call4Startup, Contest

Sono iniziative volte a raccogliere, attraverso un concorso, idee innovative su un determinato tema che l’azienda può decidere di implementare o supportare nel loro sviluppo. Un esempio è rappresentato dagli Innovation Contest per attivare collaborazioni con startup.

Hackathon, Datathon, Appathon

Si tratta di competizioni che coinvolgono sviluppatori esterni all’azienda, durante le quali vengono realizzate, attraverso una competizione svolta nell’arco di poche ore, idee innovative utili al business aziendale.

Outbound Open Innovation

In questo caso si esternalizzano stimoli interni per intraprendere azioni di innovazione all’esterno dell’impresa. Tra le azioni di Outbound Open Innovation che si sono affermate negli ultimi anni troviamo il fenomeno del Corporate Venture Building e la creazione di piattaforme digitali per abilitare modi innovativi di creare valore. In generale, però, questi modelli sono decisamente meno diffuso rispetto a quelli di Inbound Open Innovation, in quanto maggiormente rischiosi in termini di risorse. Difatti, richiedono di rendere disponibili all’esterno asset generati all’interno dei confini aziendali, con la percezione di un maggiore rischio di perdita di opportunità.

Corporate Venture Building

Il Corporate Venture Building è una forma di Corporate Venturing che riflette il concetto di spin-off di impresa, per formare nuove società che trasformano un’idea imprenditoriale sviluppata all’interno dei confini aziendali in un’impresa autonoma. Si tratta di un fenomeno che si spira agli Startup Studio, ossia a società che nascono con l’obiettivo di generare in modo scalabile nuove startup e realtà imprenditoriali.

Platform Business Model

Questo modello di business crea valore facilitando lo scambio tra due o più gruppi interdipendenti, i cosiddetti platform sides, tramite l’utilizzo di piattaforme in grado di risolvere una frizione di mercato e facilitare l’interazione tra gli attori coinvolti.

Joint Venture

Il Joint Venture consiste in un accordo in cui due o più imprese si impegnano a collaborare per un progetto comune (sia esso industriale o commerciale) o decidono di sfruttare congiuntamente sinergie, know-how o capitale.

Collaborare con le startup: la chiave per l'Open Innovation

Se è vero che "Open Innovation" vuol dire fare ricorso a risorse e competenze esterne e interne per favorire il progresso tecnologico, il mondo delle startup rappresenta allora il volano ideale per mettere in pratica questo paradigma: consentono alle aziende sia di adottare nuovi stimoli (attraverso contest, incubatori, acceleratori, CVC, ecc.), sia possono configurarsi come l’output di processi di innovazione (mediante il Corporate Venture Building).

Grazie al ruolo chiave delle startup per l’Open Innovation, sono tante le imprese italiane interessate a collaborare queste realtà: secondo la Ricerca dell'Osservatorio Startup Thinking le Grandi e le Grandissime imprese che nel 2023 hanno avviato collaborazioni con startup sono ben il 58% del totale.

Questi progetti di Open Innovation, che variano per durata e valore strategico, possono portare a numerosi benefici economici e strategici per entrambi le parti, anche se non è sempre facile raggiungere la piena sinergia a causa della differente cultura aziendale.

Nello specifico, per le aziende i principali vantaggi derivanti dalla collaborazione con le startup risultano essere:

  • maggiore velocità, qualità e quantità di innovazione;
  • opportunità per esternalizzare attività di Ricerca & Sviluppo;
  • opportunità di diversificazione del business;
  • creazione di più ampi ecosistemi di sourcing;
  • identificazione di talenti, profili e competenze;
  • antenna di trend tecnologici e di business.

Dall'Open Innovation alla Corporate Entrepreneurship

Per fare Open Innovation nella propria organizzazione in modo efficace è necessario sviluppare in azienda nuovi mindset e una nuova cultura aperta all’innovazione e all’imprenditorialità. Il paradigma della Corporate Entrepreneurship costituisce uno dei metodi più diffusi tra le aziende italiane per attivare l’Innovazione Aperta.

Questo paradigma si basa sul presupposto che i dipendenti sono un asset chiave per accelerare l’innovazione e che valorizzando le loro competenze imprenditoriali si favorisce lo sviluppo di nuovi prodotti o servizi, l’ingresso in nuovi mercati e perfino l’apertura di unità indipendenti.

Sono diverse le aziende che in Italia hanno avviato iniziative di Corporate Entrepreneurship attraverso differenti tipologie di azioni, dall’adozione di stili di leadership orientati all’imprenditorialità, alla formazione digitale e imprenditoriale e a percorsi di action learning, fino alla realizzazione di Contest e Hackaton e alla collaborazione con startup.

La cultura del fallimento in azienda

Uno dei fattori che è più in grado di alimentare in modo virtuoso la Corporate Entrepreneurship è la cultura del fallimento. L’accettazione dell’errore non fa certo riferimento a negligenza o incompetenza, ma piuttosto a sbagli che fanno parte delle regole del “gioco” nel caso di introduzioni di nuovi prodotti, servizi o processi all’interno dell’organizzazione. Durante lo sviluppo di nuovi progetti spesso non si ha uno storico con cui confrontarsi, motivo per cui la cultura del fallimento è indispensabile per promuovere l’innovazione, soprattutto in scenari di forte incertezza.

Gli abilitatori della Open Innovation in azienda: Innovation Manager, Open Innovation Manager e Innovation Champion

La Trasformazione Digitale è un processo complesso, che richiede una solida cultura di base che consenta di introdurre processi e approcci virtuosi per portare innovazione – proprio come la cultura del fallimento – e sapersi adeguare a un mercato in perenne cambiamento.

Non tutte le aziende, però, dispongono di competenze interne per far pronte a questi nuovi bisogni. Per questo motivo è necessario definire (o formare) professionisti dell’innovazione, quali Innovation Manager, Open Innovation Manager e Innovation Champion.

L’Innovation Manager, l’abilitatore della trasformazione

L’Innovation Manager è una figura centrale nell’Open Innovation. Svolge nelle organizzazioni un ruolo di primo piano nella definizione di attività e iniziative di innovazione, con l’obiettivo di rispondere al meglio agli obiettivi strategici aziendali.

Le sue caratteristiche e le competenze sono state stabilite nel 2019 con il decreto MISE e con l’annesso Voucher per l'Innovation Manager. Nel decreto l'Innovation Manager viene definito “come un professionista specializzato in ambito digitale, capace di interpretare, definire e realizzare progetti e processi di digitalizzazione e riorganizzazione aziendale”.

Si deduce, quindi, che questo Manager dell’Innovazione deve, in primis, essere in grado di individuare nuove opportunità di business (ad esempio individuando gli enti con cui instaurare una collaborazione). In secondo luogo, deve gestire l’implementazione e lo sviluppo di nuove culture di innovazione all’interno dell’azienda. Infine, deve saper svolgere attività manageriali, analizzando e valutando rischi e risultati.

Secondo la Ricerca dell’Osservatorio, nel 2023 l’Innovation Manager è presente nel 47% delle grandi aziende.

L’Open Innovation Manager

Cosa fa un Open Innovation Manager? Si tratta di una figura che nasce tipicamente per affiancare l’Innovation Manager, mantenendo l’ownership nella gestione e nello sviluppo delle attività di Open Innovation in azienda. Si deve quindi occupare di definire il portafoglio di iniziative, in coordinamento con l’Innovation Manager. Inoltre, si occupa di costruire un ecosistema di partner e attori ampio e vario e di mantenere con essi relazioni attive e proficue. Infine, favorisce, la diffusione in azienda di una cultura propensa all’adozione di approcci di Open Innovation.

Sempre secondi i dati dell’Osservatorio, l’Open Innovation Manager è presente nel 36% delle grandi aziende.

Il ruolo dell’Innovation Champion

Tra le grandi imprese sta emergendo nel corso degli ultimi anni anche una sempre maggiore necessità di identificare adeguati meccanismi organizzativi per far fronte all’innovazione. L’Innovation Champion è una risposta a questa esigenza: si tratta di una figura professionali interna all’organizzazione, di cui rappresentano le necessità e le competenze, che dedica una parte del proprio tempo all’innovazione, al fine di facilitare il coordinamento tra la propria funzione/Line of Business di provenienza e la Direzione Innovazione (ossia l’Innovation Manager).

Se l’Innovation Manager è colui che di occupa dell’avvio di un radicale cambiamento culturale e di mentalità all’interno dell’organizzazione, gli Innovation Champion si occupano della raccolta dei bisogni del business, partecipano alle iniziative di innovazione, diffondono la cultura dell’innovazione, partecipano alle attività di scouting di startup e coordinano i progetti di innovazione.

Rispetto alle altre figure viste in precedenza, questa figura è quella maggiormente presente nelle grandi aziende. Nel 51% di queste, infatti, è presente un Innovation Champion.

L'Open Innovation in Italia: diffusione e nuovi trend

Detto, quindi, cosa si intende per Open Innovation e come applicarla, è bene chiedersi quante imprese italiane riescano effettivamente a mettere in pratica il modello di Innovazione Aperta.

Prima, però, è necessario fare una premessa: in un mondo in costante cambiamento (e in situazioni di grande incertezza), l’Open Innovation può fungere da catalizzatore per la Trasformazione.

Durante la pandemia sono state molte le realtà imprenditoriali che hanno sfruttato l’approccio creativo e collaborativo proprio dell'Open Innovation. Queste hanno fatto emergere tutta la forza del nostro ecosistema di innovazione per introdurre vere e proprie soluzioni in grado di salvare vite e affrontare le diverse sfide economiche e sociali.

A partire dall’emergenza sanitaria, l’Open Innovation è diventata una pratica comune, adottata ormai dalla maggior parte delle aziende italiane, confermando il trend positivo di crescita degli ultimi anni.

Secondo la Ricerca dell’Osservatorio Startup Thinking, nel 2023 l’86% delle grandi imprese italiane hanno già adottato approcci di Open Innovation, con modalità e livelli di consapevolezza diversi. Nelle realtà medio-piccole, invece, il modello stenta a decollare, coinvolgendo poco meno della metà delle PMI.

Va detto, però, che bisogna evitare di intraprendere queste iniziative di Open Innovation senza una reale convinzione e senza un approccio sistematico. Non mancano, infatti, difficoltà organizzative e culturali che limitano lo slancio della Open Innovation nel nostro Paese.

Open Innovation e sostenibilità

Come abbiamo appena visto, l’Open Innovation si è dimostrata arma vincente per fronteggiare la turbolenza degli ultimi anni. Ciò vale anche in riferimento alla sfida della sostenibilità, obiettivo a cui ogni impresa deve tendere nel prossimo futuro. Infatti, ben l’88% delle grandi imprese persegue obiettivi di sostenibilità in ottica di Open Innovation attraverso collaborazioni con altri attori. Ai primi posti vi sono Università e Centri di Ricerca, seguiti da altre aziende e dalla popolazione aziendale, sempre più chiamata a contribuire e a essere consapevole dell’obiettivo.

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