Google non leggerà più le nostre mail. Ma quindi prima le leggeva?

10 luglio 2017 / Di Andrea Lamperti / 0 Comments

Google ha annunciato che non leggerà più i testi delle mail, all’interno degli account Gmail, con il fine di personalizzare i messaggi pubblicitari. Questa attività, che è sempre stata praticata con l’obiettivo di fornire pubblicità online maggiormente in linea con gli interessi dell’utente e non con scopi investigativi, aveva generato in passato non pochi problemi all’azienda di Mountain View, soprattutto con alcune aziende che temevano per la privacy e la sicurezza delle proprie informazioni scambiate via mail. Tuttavia, dall’altra parte, il “consumatore medio” fino ad oggi non si era mai neanche chiesto fino a che punto i fornitori di questi servizi potessero così entrare nella sua vita privata. Questa notizia, infatti, diramata a fine giugno, più che la mera comunicazione in sé, sottolinea indirettamente la presenza di diversi livelli di attenzione alla privacy e una diversa consapevolezza degli utenti rispetto a questi temi nel loro uso quotidiano della Rete.

Viene da chiedersi infatti se tutte le persone che fino a oggi hanno usato un account di posta elettronica erano al corrente del fatto che le email venivano analizzate e lette, con l’obiettivo di avere maggiori informazioni sui loro comportamenti. E la seconda domanda che sorge spontanea è: queste persone avrebbero utilizzato comunque quello strumento?

Forse sì. In un mondo in cui il digitale sempre più permea molti degli aspetti quotidiani della nostra vita, gli utenti oggi sono probabilmente disposti a sacrificare un po’ della propria privacy per accedere a determinati servizi. Tuttavia, nonostante questa disponibilità, non bisogna abbassare la guardia su chi ha l’onore (e l’onere) di utilizzare le informazioni così raccolte: fino a che punto è possibile concedergli queste intromissioni nella vita degli utenti? Cosa forniscono in cambio? È questo il punto: l’utente deve riconoscere il valore di ciò che viene effettuato grazie alla sua condivisione di dati e informazioni ed essere soddisfatto della user experience così generata. Deve avere qualcosa in cambio. Solo con questo equilibrio sarà possibile continuare, da una parte, ad offrire un servizio mirato alle aziende investitrici e, dall’altra, a soddisfare gli utenti con messaggi e contenuti a loro graditi. Una cosa, però, è certa: l’utente deve sapere quali sono le informazioni che sta condividendo con i fornitori dei servizi. E questo, ad oggi, nonostante le richieste di flag presenti ovunque, è tutt’altro che chiaro.

  • Autore

Direttore dell’Osservatorio Internet Media - Ricercatore presso gli Osservatori Digital Innovation dal 2011.