Il Piano triennale per l’informatica nella PA ha aperto nuovi scenari per l’utilizzo del Cloud Computing nel settore pubblico. Si tratta di una grande opportunità per evolvere verso una gestione sistemica delle risorse informatiche del Paese in risposta alla crescente esigenza di razionalizzare la spesa pubblica. Del resto siamo davanti a una tecnologia cruciale per la trasformazione digitale della PA stessa.
Come evolve il rapporto tra Cloud e PA
Oggi la maggior parte della spesa IT della Pubblica Amministrazione è dedicata a servizi installati su macchine locali (on-premises). Tuttavia nelle previsioni per i prossimi 3 anni, crescerà il budget per la gestione esterna in Cloud, mentre diminuirà il budget sull’on-premises.
La PA, insomma, evolverà verso la creazione di ambienti IT “ibridi”, in cui i carichi di lavoro potranno essere solo parzialmente interni ai singoli enti e sempre più esterni, con approcci sia centralizzati nei futuri Poli Strategici Nazionali che dislocati su diversi Cloud provider secondo logiche di standardizzazione e aggregazione delle risorse.
Le barriere all’esternalizzazione
Va detto che il rapporto fra innovazione e Pubblica Amministrazione è costellato, ancora, da ritardi sistemici evidenti. Fra questi si segnalano in molti casi l’inadeguatezza attuale delle tecnologie in termini di sicurezza e continuità e l’obsolescenza dei sistemi. Ed è proprio per queste ragioni che il modello di fornitura delle tecnologie IT della PA sta evolvendo.
Nei confronti dell’esternalizzazione dei servizi, però, persistono delle barriere, in particolare:
- timori per sicurezza e privacy dei dati sensibili;
- necessità di intraprendere un oneroso percorso di modernizzazione delle architetture applicative interne in ottica cloud-ready;
- frequente difficoltà nell’identificare una convenienza di costo del Cloud, soprattutto per realtà piccole a crescita lineare;
- diffidenze verso i fornitori spesso legate a passate esperienze negative su cui è capitato di dover fare retromarcia.
Vantaggi e svantaggi del Cloud per la PA
Ma quali sono i vantaggi di questa evoluzione per la PA, e quali le criticità? Di certo, gli ecosistemi IT “ibridi” offrono diversi spunti positivi: flessibilità e ottimizzazione dei costi, riduzione del costo di lock in (per passare da una tecnologia ad un’altra), garanzia di continuità del servizio, utilizzo di logiche di Cloud bursting, mantenimento di dati e workload critici interni.
Allo stesso tempo, gli enti evidenziano alcune criticità di gestione: molti segnalano problemi nel governo dell’architettura complessiva del sistema, ma anche nell’integrabilità dei servizi con i sistemi on-premises. Altre criticità riguardano l’accesso e le prestazioni della connettività di rete, ma anche la valutazione del Total Cost dell'iniziativa.
Le barriere all'attuazione del Piano Triennale
Oltre a queste criticità, ci sono poi dei limiti intrinsechi dovuti a una limitata attuazione del Piano Triennale per l’informatica della PA che, almeno sulla carta, dovrebbe dettare le regole strategiche e operative per la trasformazione digitale in Italia.
Le principali barriere percepite dagli enti all’attuazione del Piano Triennale sono di diversa natura:
- paura di una perdita di proattività nella gestione dell’evoluzione funzionale del sistema e degli eventuali problemi di sicurezza e continuità;
- panorama applicativo frammentato a causa delle necessità specifiche delle diverse tipologie di PA;
- difficoltà di gestire flessibilmente un ecosistema IT ibrido a causa della rigidità delle procedure di sourcing della PA;
- investimenti effettuati negli anni per dotarsi di tecnologia e know-how adeguati che non si possono e non si vogliono annullare con l’esternalizzazione;
- percezione di diverse velocità di potenziale applicazione del Piano Triennale al variare della tipologia di enti, della loro grandezza e di quanto sia attualmente strutturata la loro gestione interna dell’IT.